domenica 21 dicembre 2008

Nota del Ministro Maurizio Sacconi

Nota del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica in merito all’Atto di indirizzo generale del Ministro Sacconi

Il Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica, diretto dal prof. Adriano Pessina, in merito all’Atto di indirizzo generale del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali dichiara:

L’atto d’indirizzo generale del Ministro Maurizio Sacconi porta finalmente chiarezza e mette in evidenza qual è il dovere essenziale di uno Stato di diritto, e in particolare delle strutture che per loro natura sono preposte alla cura e all’assistenza: in nessun caso risulta legittimo l’abbandono assistenziale di chi non è in grado di provvedere autonomamente a se stesso. Il pronunciamento giuridico sul Caso Englaro, del resto, non può e non deve diventare normativo per un intero Paese, sia perché la stessa formula della sentenza prevede la possibilità e non l’obbligo della sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, sia perché il nostro Paese ha sottoscritto, come è stato giustamente ricordato dai Sottosegretari di stato Francesca Martini ed Eugenia Roccella, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che nel punto F dell’articolo 25 afferma il dovere da parte degli Stati di «prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazioni di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità».
Per una persona in stato vegetativo, l’alimentazione e l’idratazione, quando servono al loro scopo, e cioè fornire sostegno a una persona che non ha particolari patologie in corso, e che non sta morendo, risultano sempre doverose. Il dibattito su alimentazione e idratazione è oggi viziato da una confusione pericolosa, che equipara le situazioni cliniche delle persone in stato vegetativo con quelle di coloro che sono nella fase terminale dell’esistenza, affette da patologie giunte allo stadio conclusivo, e a volte assistite negli Hospice. In questi ultimi casi, qualora l’idratazione e l’alimentazione non ottenessero il loro scopo, e si valutassero questi trattamenti sproporzionati alla situazione clinica, potrebbero essere giustamente sospesi. Al contrario, non risulta motivata la sospensione in nome del fatto che una persona dipende da altri per il suo sostentamento o non potrà riprendere una coscienza relazionale, come nei casi delle persone in stato vegetativo o nelle demenze senili gravi. Uno stato laico e aconfessionale può farsi garante della democrazia soltanto quando impedisce che si attuino forme di discriminazioni ingiuste fra le persone in nome di private concezioni della dignità della vita. A sessant’anni dalla “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” resta normativo, per ogni democrazia sostanziale, il riconoscimento della pari dignità di ogni uomo, al di là delle sue condizioni di salute, età, etnia e convincimento religioso. In un momento in cui il dibattito pubblico sembra incentrato soltanto sulla valorizzazione del diritto di rifiutare cure e trattamenti, e la medicina e la tecnologia vengono rappresentate emotivamente come le potenziali nemiche dell’uomo e della sua condizione di finitezza e mortalità, questo indirizzo pone di nuovo al centro dell’attenzione il primato del prendersi cura, dell’assistenza e della solidarietà, come forme proprie di tutte le strutture che sono preposte alla Salute e alle politiche sociali. Il primato della cura e dell’assistenza non va contrapposto alla libertà di programmazione dei trattamenti, alla valutazione della proporzionalità delle cure e degli interventi, ai diritti di scelta rispetto alle prassi terapeutiche, al rifiuto dell’accanimento clinico, perché sono le due facce della stessa logica di riconoscimento della dignità umana.



Centro di Ateneo di Bioetica
Università Cattolica del Sacro Cuore
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