lunedì 20 aprile 2009

Pro-voc@zioni

Per osare con Paolo la nostra vocazione


C’è un punto fermo nella strategia missionaria di Paolo. Non vuole essere di peso a nessuno e decide di mantenersi con il lavoro delle sue mani. Tutto in lui è funzionale alla sua missione. Anche la scelta di essere tessitore di tende, mestiere compatibile con la sua itineranza: pochi utensili, leggeri e, quindi, facilmente trasportabili; professione che si può esercitare per strada utilizzando un semplice sgabello e un banchetto di appoggio; lavoro che non richiede manualità straordinaria a chi per anni ha maneggiato solo rotoli e pergamene.

Ma a ben guardare, Paolo sceglie di tessere tende, perché ritrova nei gesti di quel lavoro il senso del suo errare missionario. Fabbricare tende è mestiere biblico. Paolo ha avuto un illustre precursore in Mosè, chiamato da Dio a costruirgli una tenda nell’accampamento di Israele. Tessitore è arte che il Creatore stesso non ha disdegnato se il salmista deve riconoscere che Dio lo ha “tessuto nel seno” della madre (Sal 138,13). Sostanzialmente, si tratta, di far cuciture. Quel filo che passa da stoffa a stoffa, da un pezzo di cuoio all’altro, ricorda a Paolo la natura del suo vero “mestiere”. Creare legami, ricucire, tessere trame solide da un corpo all’altro, tra storie diverse, accostare i vissuti, stringere i cuori e renderli saldi in ordito di fraternità evangeliche. Tale è il senso della sua missione, di ogni missione evangelizzatrice.

Paolo è tessitore di comunità. Lo fa con il suo andare incontro alle città, con la sua parola, con il suo stare in mezzo alla gente, con le sue lettere piene di nomi, di situazioni, di passione, di rimproveri e di incoraggiamenti, di vita. La sua esperienza è l’attestazione che la cura delle relazioni è il primo dovere dell’evangelizzatore.

Se si deve annunciare l’arrivo di un circo o di una star può bastare un manifesto e qualche spot radiofonico o televisivo. Se si annuncia l’amore misericordioso dell’Abbà, il suo progetto di vita piena per tutti i suoi figli, il suo sogno di umanità-famiglia raccolta in orizzonte di fraternità, allora non si può prescindere dalla presenza fisica, reale, corporea. Si evangelizza, infatti, per contagio. Il Vangelo passa da carne a carne, da corpo a corpo, da sguardo a sguardo. La Buona Novella è parola inerme se non ha il tepore del respiro, l’umido della saliva, la plasticità di una presenza discreta ma certa. La Bella Notizia di Gesù diventa già Bella Realtà se passa come filo di tenerezza da un cuore all’altro edificando comunità poste nel mondo come mishkhan, tabernacoli, tende che Dio riempie della sua presenza.

Don Amedeo Cristino


Qualche interrogativo per la nostra vita

Emmanuele: Dio-con-noi; Dio-al-nostro-fianco; è il nome di Gesù.

- Quale stile, quali atteggiamenti, quali linguaggi, le nostre parrocchie dovrebbero assumere per aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a riconoscere il nome di Gesù, nome che è al di sopra di ogni altro nome?

- L’ascolto, la cura delle relazioni ti sembra una priorità nelle scelte pastorali e nella sensibilità dei pastori di comunità? Quali sono le difficoltà? Come assumere al meglio tali atteggiamenti?