sabato 16 aprile 2011

Pro-voc@azioni numero 13

Pro-voc@zioni 13

Il dono della missione (continua)

La missione è dono.

Il dono della fede e dell’incontro con la persona di Gesù ci spinge fuori, incontro al mondo e fa maturare in noi, per sua natura, l’esigenza della condivisione di quello che gratuitamente abbiamo ricevuto. In questa condivisione, ciò che sperimentiamo non è l’impoverimento del dono, ma il suo dilatarsi in noi. La missione, che nasce dal dono, si rivela come spazio in cui esso si precisa e si fa ancora più dono. La Chiesa, convocata dal Risorto nella missione, nei gesti dell’annuncio e dell’andare missionario fa esperienza dell’accadere continuo di Dio nella storia, del suo essere vivo e presente al fianco degli impoveriti e dei piccoli. L’evangelizzatore, nell’atto stesso di annunciare la Buona Novella, sperimenterà che questa gli è restituita come Buona Vita nell’esistenza e nelle scelte dei piccoli e dei poveri che accolgono l’annuncio. Colui che passa seminando Vangelo, lungo il cammino raccoglie anche Vangelo. È successo a Gesù stesso di incontrare Buona Notizia nel suo percorso missionario: nel tempio davanti al gesto della vedova che depone la sua misera offerta, nel centurione romano che lo riempie di stupore con l’intensità della sua fede, vicino a Tiro quando la donna siro-fenicia gli ricorda il suo essere luogo della sovrabbondanza del Padre e lo restituisce ad una missione rivolta ad ogni uomo e a ogni donna. Il Vangelo non sopporta confini. È sconfinato non solo perché destinato ad essere proclamato e vissuto sotto ogni cielo, ma anche perché è totalmente libero. Possiamo incontrarlo - inatteso - nei luoghi più impensabili, nelle situazioni più insospettabili, nelle vite più improbabili.

Nel Vangelo di Marco, Gesù invia i dodici per la prima volta in missione con una strana consegna: Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche” (Mc 6, 8-9). Li invia senza pane, senza bisaccia e senza denaro. Il Signore, dunque, mette i suoi missionari in condizione di fragilità, di dipendenza, privandoli di ogni sicurezza. L’intento del Maestro è quello di aiutarli a toccare con mano la tenerezza di Dio, che si prende cura di loro nella missione. Andranno per il mondo come agnelli in mezzo a lupi, senza pane, senza bisaccia e senza soldi. Eppure non saranno sbranati dai lupi, si sazieranno ogni giorno e non mancheranno del necessario. La chiamata dei Dodici alla missione assume i toni della chiamata alla libertà, che Jahvé rivolge ad Israele schiavo in Egitto. Come gli israeliti anche i Dodici per il viaggio missionario potranno indossare la tunica e i sandali e tenere tra le mani un bastone cui appoggiarsi. Mentre, a significare nella missione un esodo ancora più radicale di quello di Israele, non potranno portare con loro pane ancorché azzimo, né avere denaro o preziosi, ancora meno farsi accompagnare dai loro greggi. Nella missione Dio vuole occuparsi dei suoi, averne cura come già fece con Israele lungo tutto il cammino nel deserto. Così, l’andare missionario diventa cammino esodale in cui sperimentare la paternità e maternità di Dio.

Il dono di Dio, origine della missione, ci pone in un processo continuo di gratuità. È dono in cui crescere ed è dono da far crescere con la condivisione. Paolo raccomanda a Timoteo di non trascurare il dono che custodisce dentro di sé, ma di prendersene cura (1Tm 4,14-15). Nella seconda missiva indirizzata al compagno di avventura missionaria, prima di ricordargli il dovere di annunciare la parola con insistenza al momento opportuno e non opportuno, l’Apostolo lo esorta a ravvivare il dono che porta in lui (2Tm 1,6). Se un modo esiste per ravvivare il dono che Timoteo ha ricevuto è proprio quello di trasformarsi tutto in annuncio. Nella condivisione del dono facciamo lievitare in noi il dono stesso, perché la fede cresce donandola. Nell’economia della gratuità, infatti, il mondo è capovolto: le uscite rappresentano le vere entrate, le perdite hanno valore di guadagno, la bancarotta sancisce il massimo successo imprenditoriale.

La missione è scambio di doni.

C’è nella missione un’irresistibile forza comunionale, che rende quasi impossibile distinguere chi sia il donante e chi il ricevente. Essa si configura come luogo in cui i doni sono scambiati. Molto spesso, i missionari nel valutare la loro esperienza sono incapaci di dire se siano più numerosi i doni ricevuti o quelli da loro offerti. Oggi in particolare, tramontata la missione come plantatio ecclesiae, il movimento missionario si configura come il reciproco incontrarsi di chiese sorelle. Anzi, potremmo dire che la missione è un’evidenza privilegiata della comunione tra le chiese. Essa getta ponti, crea legami, mette in relazione, fa incontrare esperienze distanti, sguardi diversi, sensibilità differenti, che si mutano in dono reciproco, si fanno ricchezza condivisa. Non sempre questo incontro è facile, anzi a volte non si realizza se non nella fatica, fino a divenire – in taluni casi – anche conflitto. Anche questo è dono, perché non c’è missione senza Croce. L’invio missionario, infatti, lo si fa con la consegna del Crocifisso. La Croce è posta nelle mani del missionario a ricordargli – tra l’altro – che la missione è anche travaglio, è esposta all’incomprensione, non è esente da conflitto e dal rischio del rifiuto. Ma soprattutto, la Croce è lì a ricordargli che proprio nella Passione Cristo tocca il vertice dell’amore per l’umanità. Nella solitudine del condannato, quando Gesù è fisicamente allontanato dalla folla perché innalzato e confitto al legno, egli vive la più profonda comunione d’amore con l’uomo.

Tutto è dono, tutto è grazia nella missione. Anzi tutto è grazia condivisa. Giovanni Paolo II, al numero 62 della Redemptoris Missio scrive: In un mondo che col crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi fra di loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunziare e vivere il vangelo ... Le chiese cosiddette giovani ... hanno bisogno della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole chiese attingano dalla ricchezza delle altre chiese”. Per la singola chiesa la missione non può essere l’orpello, il di più dopo che ha sistemato tutti i problemi pastorali che la affliggono e tappato tutti i buchi provocati dalla crisi delle vocazioni. Nello numero già citato della Redemptoris Missio il Santo Padre aggiunge: La chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore ma raggiunge il cuore stesso della chiesa. Ne deriva che tutta la chiesa e ciascuna chiesa è inviata alle genti”. La missione è, dunque, la ragion d’essere della Chiesa, il suo senso. Se smette di essere missionaria e di porre al suo interno il segno dell’invio ad gentes, la Chiesa diventa insensata e se ne andrà per il mondo inconsapevole dei doni che ammuffiscono dentro di essa.

Don Amedeo Cristino

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